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Value vs growth: è il momento degli investimenti value?

Investimenti value
In sintesi
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Il principale fattore alla base dei rendimenti di un portafoglio è il prezzo pagato per acquistare gli asset: “buy low and sell high”, ovvero “compra basso e vendi alto”.

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La storia insegna che diversi stili possono sovraperformare a seconda delle condizioni di mercato. Qual è la situazione attuale?

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Dal momento che il trend decennale di discesa dei rendimenti obbligazionari è finalmente terminato gli investimenti value dovrebbero godere di un ritorno in auge.

Chi potrebbe mai sostenere che investire in ottica “value” sia sbagliato? Dopotutto investire non vuol dire proprio acquistare asset a basso prezzo e rivenderli a un prezzo più elevato?

Eppure il dibattito “titoli growth vs titoli value” continua. Ci sono molti modi per capire quali sono gli asset il cui valore è destinato ad aumentare; non sono necessariamente quelli più a buon prezzo.

La storia insegna che diversi stili possono sovraperformare a seconda delle condizioni di mercato. Storicamente al calare dei rendimenti obbligazionari i titoli azionari growth hanno messo a segno buone performance, mentre quelli growth hanno sovraperformato nelle prime fasi del ciclo economico e di mercato (al crescere dei rendimenti obbligazionari).  

Qual è dunque la situazione attuale? Ritengo che il trend decennale di discesa dei rendimenti obbligazionari (e di sovraperformance delle azioni growth) sia giunto al termine, favorendo potenzialmente le azioni value.  Ma diamo prima un’occhiata ai dati storici.

Un punto di vista storico sulla questione “value vs growth”

All’inizio della mia carriera, negli anni ‘80, era facile prediligere asset venduti a bassi multipli di valutazione. Il backtesting indicava che gli investimenti value avevano prodotto rendimenti maggiori rispetto ad altri metodi come quello growth.

Nella seconda metà degli anni ‘90, però, le cose iniziarono a mettersi male per gli investitori value quando la bolla delle dot-com portò i prezzi delle azioni del settore tecnologico e di altri titoli growth a livelli insostenibili. La bolla ovviamente finì per scoppiare, ma le carriere di molti investitori value furono rovinate: molti vennero licenziati prima che gli eventi dessero loro ragione.

Purtroppo questa gioia non durò: i titoli value hanno infatti sottoperformato quelli growth per gran parte dell’era post-crisi finanziaria globale (CFG). L’osservazione empirica suggerisce che il calo dei rendimenti obbligazionari svolse un ruolo importante in quel processo; in teoria, più è basso il rendimento obbligazionario prevalente, più basso sarà il fattore di sconto applicato agli utili/dividendi futuri e dunque elevato il premio applicato ai titoli growth (trattandosi di strumenti ad alta duration, una quota del loro valore superiore alla media è situata in un futuro lontano). Data la discesa sperimentata dai rendimenti obbligazionari per gran parte degli ultimi tre decenni, la maggiore popolarità degli investimenti growth rispetto a quelli value non dovrebbe sorprendere.
 

E oggi?

Coloro che lavorano nel settore finanziario dall’inizio di questo secolo potrebbero credere che i rendimenti obbligazionari calino e che i titoli growth sovraperformino continuamente; sarebbe difficile biasimarli. Tuttavia abbiamo ormai visto che i rendimenti possono crescere (anche vertiginosamente), mentre il 2022 ha dimostrato che il fattore value può sovraperformare quello growth (e altri). Di fatto, a nostro avviso, il trend di discesa dei rendimenti obbligazionari è finalmente giunto al termine e ci aspettiamo qualcosa di vicino a una normale variazione ciclica, specialmente considerando che le liquidazioni di asset da parte delle banche centrali riducono l’impatto al ribasso del quantitative easing (QE) sui rendimenti. Per questo prevediamo una lotta più alla pari tra i titoli growth e quelli value che negli ultimi decenni; alcune fasi del ciclo economico favoriranno i primi, altre i secondi (dalle nostre analisi emerge che il fattore value tipicamente sovraperforma gli altri all’inizio del ciclo economico e di mercato).

Il 2023, però, non ha seguito il copione che avremmo potuto aspettarci. Pur avendo sovraperformato il fattore growth in Europa, il nostro indice del fattore value ha sottoperformato quello growth negli Stati Uniti (e tutti gli altri tipi di titoli tranne quelli a bassa volatilità). Nonostante l’incremento dei rendimenti obbligazionari, negli USA quello growth è stato il fattore con le migliori performance, anche se in Europa ha sottoperformato tutti i fattori tranne la capitalizzazione. Ritengo che le ottime performance dello stile growth negli Stati Uniti dipendano dall’emergere degli strumenti basati sull’intelligenza artificiale (IA), che hanno spinto al rialzo i titoli del settore tecnologico nel Paese.

Dubito che l’IA possa continuare a distorcere le performance del mercato come ha fatto per tutto il 2023, specialmente alla luce del fatto che è ormai comune sentire di investitori alla ricerca di modi per mitigare il rischio di concentrazione associato a indici ponderati per la capitalizzazione di mercato come l’S&P 500. A proposito di S&P 500, la mia analisi dei rendimenti azionari USA dal 1881 a oggi indica che le performance a lungo termine sono generalmente maggiori quando i multipli di valutazione partono da bassi livelli e viceversa, come oggi (utilizzando il rapporto prezzo/utili di Shiller come parametro di valutazione). Si tratta a mio giudizio di una prova che acquistare asset a buon prezzo genera migliori rendimenti nel lungo periodo.
 

Il ritorno in auge del fattore value

È mia opinione che, considerando che i titoli growth hanno retto tanto bene, i mercati azionari non si siano ancora adeguati appieno all’incremento dei rendimenti obbligazionari. Escludendo il fenomeno dell’IA, ciò può dipendere anche dal fatto che molti investitori hanno sempre operato in un contesto di sovraperformance dei titoli growth e che può volerci tempo affinché accettino che sono possibili altri scenari. Potrebbe trattarsi di un sofferto processo di delusione nei confronti dei titoli growth lungo diversi anni, dato l’effetto del maggiore hurdle rate sui rendimenti. Nel frattempo il fattore value potrebbe realizzare performance migliori in senso relativo rispetto a quello growth di quanto ci si potrebbe aspettare.

Non sarà però a mio avviso un processo lineare. Ritengo infatti che il settore value sarà quello con le migliori performance nelle prime fasi del ciclo economico e di mercato e che sovraperformerà quello growth, in particolare, in periodi di crescita dei rendimenti obbligazionari (che coincidono spesso con le fasi di ripresa). La cattiva notizia è che secondo le mie previsioni nel corso del 2024 le principali banche centrali dei Paesi occidentali daranno il via all’allentamento delle politiche monetarie, lasciando presagire un calo dei rendimenti obbligazionari di lungo periodo. Ciò potrebbe spingere al rialzo i titoli growth rispetto a quelli value; ma questa dinamica avrebbe a mio parere vita breve.  Come già accennato, inoltre, credo che al momento il fattore value offra più valore di quello growth, specialmente negli Stati Uniti, quindi non mi sorprenderebbe una sua sovraperformance nel medio periodo.

Sono fermamente convinto che il principale fattore alla base dei rendimenti di un portafoglio sia il prezzo pagato per acquistare gli asset (“buy low and sell high”, ovvero “compra basso e vendi alto”). Per questo sono per mia indole un investitore value e ritengo che il trend decennale di discesa dei rendimenti obbligazionari sia finalmente terminato; il che indica che il vento costante a favore delle azioni growth è ormai venuto meno. Man mano che i titoli growth si adegueranno a questa nuova realtà, secondo le mie previsioni, quelli value sperimenteranno un ritorno in auge. 

Rischi di investimento

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Informazioni Importanti

  • Dati al 17 Ottobre.

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